A scuola mi hanno insegnato che i verbi potere, dovere e volere si chiamano servili perché messi accanto a un altro verbo ne connotano il significato aggiungendo una sfumatura di possibilità, di obbligo o di intenzione rispettivamente. Ora che la scuola è un lontano ricordo, ho l’impressione che da grandi si scivoli verso un’accezione del termine servili tendente più al servilismo che non al servizio.
Mi spiego. Questi verbi hanno una funzione chiara: evidenziano le circostanze che condizionano un’azione, come per esempio dormire, fino a produrre significati molto diversi. Queste infatti sono quattro modalità completamente diverse del dormire:
- dormo (informazione di base, si sa solo che lo faccio)
- voglio dormire (ho intenzione di farlo, ma chissà se ci riuscirò)
- posso dormire (nulla me lo impedisce, probabilmente lo farò)
- devo dormire (qualcosa mi obbliga a farlo, ma ancora non lo sto facendo)
Quando i servili non fanno un buon servizio
Come si vede, i verbi servili aggiungono significati diversi ma ben caratterizzati. Il servilismo a cui alludo, invece, è la pratica d’uso per cui inserendo questi verbi si produce al contrario un’annebbiamento dell’azione di base, un indebolimento e una perdita di chiarezza del discorso.
È un fenomeno che riscontro tipicamente in un certo tipo di testi. Quelli che devono dare indicazioni (es. linee guida, programmi associativi, ecc.) e sono scritti da qualcuno che, pur essendo competente, non ha il coraggio o non si sente in condizione di essere semplicemente diretto. E allora ecco che usiamo i verbi servili in maniera servile per così dire, cioè per ottenere più facile accettazione dal proprio pubblico.
Prendiamo una frase come questa ad esempio:
La scuola deve essere il luogo dove poter accogliere il bambino.
A che servono i due verbi servili, se non a diluire la forza dell’affermazione? L’effetto pragmatico è quello di ridurre la cogenza, l’impegno verso la realtà che quella frase presume, offrendo un confortante senso di protezione all’autore che prende, nelle parole, un minimo di distanza dal suo pensiero, sospettandolo di essere forse troppo estremista.
Si può violare un obbligo, mancare una possibilità
Infatti, a dispetto del significato di dovere, che chiama un obbligo, la forma deve essere
risulta meno impegnativa dell’alternativa più categorica e definitoria (e più semplice, quindi più memorabile) quale il direttissimo è
. Dover essere, proprio per il carattere di obbligo, presuppone anche la violazione dell’obbligo. Essere invece definisce e non lascia scampo. Se non fosse, allora tradirebbe la sua natura.
Analogamente, poter accogliere, presuppone apertamente anche l’eventualità che non si accolga.
Non suona anche a te molto più efficace una riformulazione come questa?La scuola è il luogo dove accogliere il bambino.
Fila come una definizione matematica. Non lascia spazio ad eccezioni. Sembra dire: se non fa questo, non è scuola.
Pane al pane e vino al vino
Naturalmente l’abuso dei verbi servili non è l’unico strumento con cui un autore tende a proteggere se stesso, o ciò che rappresenta, dalla forza delle sue dichiarazioni. Basti pensare agli altri escamotage ben più noti a questo scopo:
- il passivo, che nasconde il responsabile di qualcosa
è proibito...
(da chi?)
- la forma impersonale, che impedisce di identificare soggetti precisi
si ricorda che...
(chi lo ricorda a chi?)
- e il sempreverde condizionale
sarebbe suo dovere...
(lo è o non lo è?)
Ripulire il linguaggio da queste pratiche è impensabile. Impariamo questi trucchi parallelamente all’apprendimento della lingua, ma a differenza della consecutio temporum, applicarli ci richiede pochissimo sforzo perché si codificano nel nostro cervello come meccanismi di autodifesa.
Riuscire a scrivere senza ricorrere ad essi, invece, costa fatica e tanta attenzione. Scrivere diretto ci spaventa perché i pensieri si stagliano sulla pagina fieramente nudi, senza prestarsi a compromessi. Ma ne vale la pena soprattutto se pensiamo alla scrittura per il web, dove la brevità è un valore di per sé, e l’incisività è brevità fatta bene.